sabato 24 settembre 2011

La mia stufetta


Squadra speciale Lipsia
Pairing: Jan-Miguel
I personaggi non sono di mia proprietà

Il respiro era regolare, segno che Jan stava dormendo tranquillamente. Miguel gli baciò la fronte bollente; la febbre ancora alta, lo preoccupava. Detestava quando il suo Jan stava male. Certo, poteva coccolarlo e rimboccargli le coperte liberamente, ma non riusciva a non stare in ansia.
Lo sentì muoversi nel sonno, mugolare qualcosa e sorrise.
«Domani sarai come nuovo»
«Miguel» mormorò l'altro circondandogli la vita con un braccio «ho freddo»
«Ti scaldo io» e lo attirò più vicino, poi avvolse entrambi con la coperta. Sospirò felice.
«Sei la mia stufetta, Miguel» sorrise Jan appoggiando il viso sul petto del compagno. E un attimo dopo sprofondò nuovamente nel mondo di morfeo.
Miguel avvertì un certo sfarfallio al basso ventre. Non era la prima volta che dormivano stretti, ma questa volta gli sembrava diverso. Quello che provava per Jan lo confondeva. Aveva sempre sentito che il rapporto che li legava era più profondo di quello tra colleghi o semplici amici. Tra loro c'era complicità, gelosia, possessività e intimità. Lui e Jan si capivano anche solo con uno sguardo. Non avevano bisogno di parole.
Si chiese se anche Jan provasse lo stesso per lui e si ritrovò a sfiorargli una guancia
«Sei così bello»
Le dita scivolarono verso il basso. Lambirono il collo insinuandosi sotto il lenzuolo, fino al ciuffetto di peli al centro del petto.
«E vorrei appartenerti. Sì, Jan, vorrei essere tuo e di nessun altro.»
Neppure il tempo di finire la frase che già si sentì uno sciocco per aver esternato in quel modo i suoi sentimenti. Si morse la lingua e sospirando, continuò a vegliare il collega fino a quando il sonno non colse anche lui.

domenica 18 settembre 2011

sabato 17 settembre 2011

Il Frutto proibito




Original
Per linguaggio crudo e future scene di violenza e sesso anche non consenziente, questa storia è vietata ai minori di 18 anni.

Prologo

Londra 1860

La stanza era immersa nell’oscurità. Fuori dalla piccola finestra, la notte era senza luna. Due occhi chiari scrutarono incuriositi la camera, cercando di abituarsi al buio. Nel silenzio quasi irreale, il respiro affannoso del ragazzo, rannicchiato nel letto, le dita sottili strette al lenzuolo, quasi come se si fosse appena riscosso da un incubo. Avvertendo dei passi, scattò seduto appiattendosi al muro quasi a volersi rendere invisibile.
La porta si aprì con un cigolio e una figura imponente varcò la soglia. In mano stringeva una lampada che gli illuminava il volto candido e bellissimo. Il ragazzino, impaurito, osservò il nuovo arrivato trattenendo il fiato. Si trattava di un uomo sulla trentina, occhi scuri e lunghi capelli neri raccolti in un nastro. Quando avanzò avvicinandosi, la luce rischiarò la stanza permettendogli di vedere finalmente l’ambiente che lo circondava. Un camino, nel quale scoppiettava il fuoco, al centro della stanza un tavolino e una poltrona di velluto azzurro a fiori. Completava lo scarno arredamento un cassettone con intarsi lavorati, appoggiato alla parete.
“Ti sei svegliato” chiese l’uomo appoggiando la lampada sul pavimento accanto al letto.
“Chi…siete?” balbettò il fanciullo schiacciandosi maggiormente contro il muro.
“Non temere, sei al sicuro” tentò di rassicurarlo, la voce calda e mascolina.
“Dove mi trovo?” gli occhi spauriti saettarono da una parte all’altra.
“Nella mia dimora. Come ti senti?”
“Come se mi avessero percosso con un bastone” fece una piccola smorfia, la testa gli pulsava con violenza e in bocca un sapore amaro. “Ma voi chi siete?”
“Il mio nome è Edward. Edward Grey” lo scrutò intensamente.
“Quindi non vivo qui” mille interrogativi cominciarono ad affollarsi nella mente. “e come mai mi avete portato in casa vostra?
Edward sedette sul letto, accorciando la distanza che li separava: “Non ricordi?”
Gli occhi lucidi si puntarono nuovamente sul suo interlocutore: “No”
L’espressione dell’uomo cambiò di colpo: “Qual è l’ultima cosa che ricordi?” insistette cupo.
“Niente” scosse il capo, mentre una lacrima scivolò lungo la guancia candida infrangendosi sul lenzuolo.
“Neanche il tuo nome? Dove vivevi?”
“No” si portò le mani alle tempie e cominciò a piangere “cosa mi succede?”
“Non fare così, piccolino” lo strinse tra le braccia.
Il fanciullo affondò il volto nella spalla bagnandogli la camicia di raso bianca.
Edward gli carezzò i capelli: “Presto ricorderai, non piangere”
Il suo tocco gli infuse calore e protezione. Stranamente si sentiva al sicuro nel suo abbraccio. Protetto. Un attimo dopo, l’uomo lo allontanò tornando serio e compassato. Si alzò dal letto indietreggiando di un paio di passi. Il giovinetto ne approfittò per osservarlo con attenzione. Il suo abbigliamento elegante e sofisticato gli suggerirono che doveva trattarsi di un nobile, un aristocratico. Indossava una camicia di raso con i polsini di pizzo e dei pantaloni scuri, al collo una catena con un pendente a forma di goccia con una pietra trasparente, dai riflessi azzurri, terminante con una pietra rossa, probabilmente un rubino, mentre alle dita numerosi anelli d’oro, dei quali, quello che ornava il suo mignolo, attirò maggiormente la sua attenzione. Era grosso, al centro uno stemma con una rosa incrociata con una spada.
“Volete dirmi cosa mi è successo?”
“Non è ancora il momento, piccolo. Devi riposare, sei ancora debole. Ti hanno riempito di porcherie e picchiato.”
Un tremito incontrollato s’impadronì del suo corpicino: “Come? Chi mi ha fatto questo?” le lacrime divennero ancora più copiose.
“Ho detto che devi riposare. Ti dirò tutto, non temere!” si abbassò a sfiorargli una guancia umida “Non piangere. Devi essere affamato. Ti farò portare la cena” e senza aggiungere altro raggiunse la porta chiudendosela alle spalle.
“No! Non…” ma era tardi Edward era già andato via. Guardò in basso, gli aveva lasciato la lampada.
Una volta solo, tentò di alzarsi dal letto, ma la testa gli faceva troppo male per permettergli di stare in piedi. Era turbato, non aveva compreso la maggior parte del discorso di quell’uomo così misterioso, ma dentro di sé provava sconforto per non conoscere la sua identità. Si convinse che c’era qualcosa di strano e che stesse nascondendo parecchie cose sul suo conto. Prendendosi la testa tra le mani, tentò di ricordare. Un volto, un luogo, ma niente. C’era solo il buio.
La porta sbatté contro il muro facendolo scattare di paura.
“Chi siete?” osservò pronto a scappare, il giovane che era appena entrato. Molto giovane, con il viso disseminato da piccole lentiggini, lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle e vispi occhi verdi. Tra le mani un vassoio con dei piatti.
“Ti ho portato la cena” sorrise avanzando verso il tavolino.
“Grazie”
“Io sono Jeremy” appoggiò il portavivande.
“Grazie, Jeremy”
Prima di uscire il biondino, si voltò: “Tu non hai un nome?”
“Non lo ricordo” si rattristò.
L’altro alzò le spalle: “Puoi sempre scegliertene uno o ci penserà il conte per te”
“Il conte?” ripeté smarrito. “Io non…”
Jeremy annuì prima di lasciare la stanza.
“Dovevo capirlo” tornò pensieroso.
In quel momento il suo stomaco brontolò. Guardando il piatto pieno di vivande con bramosia, tentò di alzarsi di nuovo. Era affamato come se non mangiasse da giorni.
Le gambe sembrarono cedergli, ma usando il pomo del letto come appoggio, riuscì a raggiungere il tavolo. Sedutosi scomposto, divorò il contenuto dei piatti. Quando fu sazio, si appoggiò allo schienale mantenendosi con le mani lo stomaco dolorante. Decretò che aveva mangiato troppo. Fece per tornare verso il letto, quando improvvisamente delle immagini gli invasero la mente.
Si trovava in una stanza, era vestito con una specie di tunica rosso scuro, i piedi affusolati erano scalzi, alla caviglia un braccialetto stile orientale con pendagli che suonavano ad ogni movimento. Gli occhi gli si chiudevano, aveva solo voglia di dormire. Si guardò intorno, nella stanza decine di uomini dei quali non riusciva a vederne i volti perché immersi nell’ombra. Poteva solo sentire su di sé i loro sguardi bramosi. Rabbrividì e con le braccia si circondò l’esile corpo. era ancora impalato quando gli si avvicinò una donna sulla quarantina, magra, con lunghi capelli rossi e occhi eccessivamente truccati. La seguiva un uomo robusto con dei capelli unti, legati dietro la nuca, il quale lo afferrò per un braccio strattonandolo con violenza. “Alzati” ordinò stringendo la mano grassoccia, ma energica attorno al suo polso. Il ragazzo sgranò gli occhi e cercò di divincolarsi, ma l’uomo lo schiaffeggiò “Fermo, ragazzino pestifero, se non resterai docile, non ti vorrà nessuno e non lo vuoi questo, vero?” le ultime parole furono mormorate con un sibilo e nei suoi occhi apparve una luce maligna che lo indusse a obbedire. Quell’uomo gli sembrò capace di compiere qualsiasi cosa.
“Bravo, ora sì che mi piaci, piccolino”gli sfiorò una guancia scendendo fino alla gola. Il contatto lo fece tremare.
Fu trascinato al centro della sala, i sonagli alla caviglia tintinnarono. Le droghe che gli avevano somministrato cominciavano a fare effetto, non sentiva più nulla, la testa era leggera, il corpo sembrava avere una vita propria, quasi come se non gli appartenesse.
S’isolò, come se non si trovasse in quella stanza colma di estranei, ma in un altro posto, solo la voce dell’uomo lo riportò alla realtà.
“Signori, guardate questo esemplare, diciassette anni, mai sfiorato, pelle di seta e bocca morbida e carnosa. Disponibile a qualunque cosa, fate la vostra offerta per una notte con lui, per essere il primo a possedere il suo corpo”
La preda fremette, volse gli occhi verdi pieni di lacrime verso l’uomo, ma non riuscì a pronunciare neanche una parola.
“L’asta parte da venti sterline”
Immediatamente si alzarono decine di mani e la posta aumentò.
“Cento”dichiarò un uomo seduto su un divanetto che aveva alzato il braccio fasciato in un cappotto scuro.
“Duecento sterline”dichiarò una voce proveniente dal fondo della stanza.
Le teste dei presenti si voltarono focalizzandosi sull’uomo che aveva parlato e che si stava avvicinando al centro della stanza con passo elegante. Indossava una giacca color porpora e una camicia bianca chiusa al collo con una spilla vistosa. I lunghi capelli neri erano lasciati sciolti sulle spalle, in mano stringeva un bastone con il manico in argento lavorato.
“Duecento sterline”ripeté con un sibilo notando che il suo contendente si era alzato poco contento della sua intromissione.
“Non vi sembra una cifra eccessiva per una notte?”gli domandò avanzando verso di lui.
“Forse non sono stato chiaro, io non lo voglio solo per una notte, ma desidero portarlo a casa con me, sarà mio”
“Cosa?”sgranò gli occhi, mentre la tenutaria del bordello e l’uomo che conduceva l’asta assunsero un’aria minacciosa.
“Il ragazzo ci appartiene” sibilò poi questi.
“Cinquecento” replicò inespressivo. Abituato a confrontarsi con una feccia come quella, non ne fu per niente intimorito.
“Cinquecento?”domandò incredulo, ma allo stesso tempo, interessato.
Annuì e sulle labbra apparve un sorriso maligno, mentre l’oggetto del contendere era fermo, con la testa bassa. Un leggero tremito gli agitava il corpo e ben presto il torpore prese il sopravvento. senza quasi accorgersene scivolò seduto sulle assi di legno del pavimento.
“Cinquecento sterline, signori, mi sembra una proposta ragionevole”
La donna intervenne afferrando il ragazzino e trascinandolo verso di lui “voi siete un uomo facoltoso, sono certo potete offrire molto di più”
“Non abusate della mia pazienza! Ringraziate che non faccio chiudere questo postribolo cencioso!” ogni parola era puro veleno.
Il suo tono spaventò tanto i tenutari da indurli a tacere. Soddisfatto, si liberò della loro presenza, pagando loro il dovuto. Una volta che fu solo con il fanciullo, si chinò circondando il corpicino con le braccia possenti. Gli sguardi s’incontrarono e lui seppe di essere finalmente al sicuro.




Mi raccomando commentate! Il futuro di questo racconto dipende da voi e dai vostri commenti.

Il frutto proibito

Questa è un'immagine di Ayano Yamane che mi ha colpito particolarmente e che ho deciso di usare per un racconto che sto scrivendo e che a breve pubblicherò su questo blog.

venerdì 9 settembre 2011

Accecati dalla passione





Pairing: Jan e Miguel
Rating: NC17 vietato ai minori di 18 anni per esplicite scene di sesso.
Spoiler: terza stagione
I personaggi non sono di mia proprietà.


Jan era al buio, nel suo appartamento, con lo sguardo perso nel vuoto. Si chiese cosa gli fosse accaduto. Proprio lui, così serio e coscienzioso, si era infatuato come un ragazzino. Di chi poi? Di una donna che aveva ucciso il marito a sangue freddo. Doveva essere davvero impazzito per lasciarsi abbindolare in quel modo. Miguel aveva cercato di farlo ragionare, ma la passione e il desiderio non gli avevano lasciato scampo. Si era buttato a capofitto in quel rapporto conclusosi quando aveva dovuto arrestarla. Per colpa sua ho anche litigato con Miguel. Sono stato sul punto di sospenderlo solo perché ha avuto il coraggio di dirmi quello che pensava. Dandosi dello stupido, si alzò dal divano, aveva bisogno di restare almeno un po’ di tempo nella vasca da bagno. Il suono del campanello lo bloccò. Rifletté su chi poteva essere a quell’ora. Miguel era sul pianerottolo, lo sguardo cupo e le labbra imbronciate
“Ah, sei tu!” borbottò Jan “Che fai qui? Vuoi ribadire quanto tu avessi ragione e io torto?” lo aggredì.
“No, Jan” sbuffò offeso “Pensavo volessi parlare” entrò chiudendosi la porta alle spalle.
“Scusa, ma non sono dell’umore adatto” Jan gli voltò le spalle.
“Non ho alcuna intenzione di lasciarti rimuginare e poi, non credo tu lo voglia davvero”.
Jan si arrese, sapeva che era impossibile fargli cambiare idea “E va bene, vuoi una birra?”
“Certo” lo seguì in cucina.
Jan aprì il frigorifero e gli porse una bottiglia.
“E Benny? Sta già dormendo?”chiese Miguel mentre tornavano in salotto.
“È a casa di un amico”
Sorseggiando la sua birra, Miguel sedette sul divano. Stranamente si era creato un silenzio imbarazzante che entrambi non riuscivano a sopportare.
“Devi parlarmi di qualcosa, Miguel?” gli domandò alzando un sopracciglio “Sei fin troppo taciturno”
Lui abbassò lo sguardo osservandosi le scarpe "Senti Jan, tu hai capito quanto mi ha dato fastidio il fatto che ti fossi messo a frequentare quella donna, giusto?”
“Sì, l’ho capito”
“Scusa” mormorò Miguel.
“Non scusarti, sospettavi di lei e avevi ragione. Sono stato un idiota a cascare nella sua rete, ma soprattutto a non darti retta” Jan lo guardò con dolcezza.
“Mi dispiace di essere stato duro, ma… ”
Jan gli sedette accanto circondandogli le spalle con un braccio “Non sono arrabbiato con te, Miguel, ma solo con me stesso per essermi lasciato irretire da lei. Ero nelle sue spire e rischiavo di perdere chi conta davvero”
“Non mi perderai, Jan” si voltò verso di lui, i visi erano vicini.
Quando si rese conto che qualcosa stava cambiando nel suo corpo, Miguel decise di battere in ritirata. Scattò in piedi “Io me ne vado, Jan! Invece di tirarti su di morale ti sto deprimendo” si voltò per aprire la porta ma l’altro appoggiò la mano sulla sua “Non andartene, Miguel. Perché non vuoi dirmi cosa ti turba?”
“Non c’è niente che mi turba!”
“Non è vero!” insistette “te lo leggo negli occhi”
Rassegnato sospirò “Che cosa provi per quella donna?” c’era dolore nella sua voce.
Jan non seppe cosa rispondere, non aveva ancora avuto modo di riflettere su quello che provava.
“Non sopporto che tu stia male per quella…” continuò Miguel voltandosi verso di lui, gli occhi come braci “Era una sgualdrina e ti ha ammaliato con il sesso”.
“Non era solo sesso, Miguel” confessò “almeno era quello che credevo”
Queste parole lo colpirono come una pugnalata al cuore. Sentì il terreno mancare sotto i piedi e si aggrappò con forza alla maniglia “Capisco” mormorò con un filo di voce.
Jan continuava a mantenere la mano sulla sua, il calore era quasi insopportabile.
“Notte Jan” sussurrò lo spagnolo rassegnato.
“Rispondi a questa domanda, eri geloso di Corinna?” Jan si pressò contro di lui. Miguel esitò e Jan ripeté quella domanda tanto insidiosa “Dimmelo! Eri geloso quando mi sapevi con lei?”
L’altro confessò “Sì, Jan, lo ero. Sei contento, ora?” ansimò leggermente.
L ’altra mano di Jan si poggiò sulla schiena.
“Non mi toccare” sibilò Miguel, si stava rendendo ridicolo, non avrebbe dovuto confessare ciò che provava.
Spingendosi ancora contro il suo corpo virile Jan gli sussurrò in un orecchio “Ora, non vuoi che ti tocchi”
Eccitato Miguel chiuse gli occhi, l’alito caldo lo fece fremere, la mano di Jan scese lungo la schiena.
“Ti da fastidio se ti accarezzo?” anche Jan si sentiva strano.
“Qual è il tuo gioco, Jan?”
“Nessun gioco”
Miguel si voltò di scatto fissando l’amico con occhi colmi di desiderio, poi lo spinse con violenza contro la parete. Dopo averlo afferrato per il colletto della camicia, gli attaccò le labbra. Lo attirò maggiormente a sé e si spinse con irruenza nella sua bocca.
Jan si lasciò sfuggire un lamento, il cervello smise di formulare dei pensieri concreti. In quel momento esistevano solo lui e Miguel.
Mentre le mani mappavano reciprocamente il corpo dell'altro, Miguel, senza preavviso, strappò la camicia lasciandola cadere a terra, Jan fece altrettanto. Sembravano due belve, incapaci di reprimere oltre quegli istinti custoditi per troppo tempo nelle loro anime.
Miguel gli catturò il labbro inferiore con i denti e lo tirò leggermente, le mani scivolarono lungo il torace carezzandolo “Sei così bello, Jan” si schiacciò contro di lui affondando il viso nel collo e mordicchiandolo. Con la lingua tracciò una scia su fin sotto il mento “se solo sapessi da quanto desidero farlo”.
Jan gli portò una mano dietro la nuca cercando nuovamente le sue labbra carnose. Lo sguardo si posò sulla cicatrice che aveva sotto la bocca.
La sfiorò con un dito e baciò in quel punto, risalendo poi verso le labbra.
Miguel lo schiacciò maggiormente contro la parete e slacciò i pantaloni, lasciandoli scivolare lungo le gambe “Ti desidero talmente che se non ti scopo subito, credo impazzirò” dichiarò con occhi scuri di lussuria.
Lo baciò ancora facendolo gemere, le dita s’insinuarono dei boxer avvolgendo il membro. Jan si lasciò andare al tocco delicato, ma allo stesso tempo deciso di Miguel.
“Miguel”ansimò
“Vieni”lo afferrò trascinandolo verso il salone, mentre i boxer del biondo finivano abbandonati sul pavimento.
Miguel lo spinse supino sul divano e, dopo aver ammirato la perfezione del suo corpo, si stese su di lui sovrastandolo. Tornò a reclamare le labbra, muovendosi e provocando in Jan delle ondate di calore.
Jan ansimò “Lei è troppo vestito, senior Alvarez, ma… rimediamo subito”.
Sbottonò con irruenza i jeans, voleva averlo nudo contro di sé, percepire la sua virilità, ma soprattutto, sentirlo prepotentemente dentro.
“Scopami!” gli ordinò calando anche i boxer.
Miguel sorrise, stupito, non era da Jan quel linguaggio così scurrile. Doveva ammettere però che questo aspetto del commissario Maybach gli piaceva e molto anche.
Tornò a baciarlo con sempre più ardore, Jan strinse le gambe alla vita di Miguel come se temesse potesse sgusciare via.
Jan si mosse sotto di lui, i due sessi frizionarono.
Miguel ansimò “Lasciami prendere un preservativo”.
“Non ne ho”
“E con la spogliarellista come facevi?”era geloso, non riusciva a togliersi dalla mente il pensiero del suo Jan con quella sgualdrina uxoricida.
“Li aveva lei” confessò Jan.
“Già, logico” replicò Miguel con una smorfia “con tutto il movimento che aveva”.
“Miguel!” lo rimproverò.
“Solo il pensarti con lei mi rende furioso. Quante volte lo avete fatto?”si liberò dalla sua stretta.
“Tre”la sua voce fu solo un sussurro.
“Tre”ripeté con il cuore in mille pezzi “grandioso, era brava, almeno?”
“Non farlo”
“Cosa? Soffrire perché sei stato con quella? È tardi, Jan” gli occhi scuri si persero in quelli azzurri dell’amico.
Miguel si alzò dal divano e Jan impallidì “Non andartene, ti prego”.
“Non sto andando via, Jan” lasciando vagare lo sguardo sul suo corpo nudo, si morse il labbro “cerco di ricordare se ho un preservativo nel portafoglio”.
La sua risposta lo rassicurò “Vorrei cancellare tutto quello che è accaduto con Corinne, ma non posso” Jan si mise seduto.
“Non è vero, Jan, non dirlo, tu non lo vuoi perché per te quella donna è stata importante” ritornato da lui, gli sfiorò una guancia.
“Forse è stato il mio desiderio di trovare una donna che potesse fare da madre a Benny a…” non riuscì a terminare la frase perché Miguel gli tappò la bocca con un bacio.
Lo spinse nuovamente supino, premendosi su di lui, Jan ansimò “Miguel, mio dio”.
“Ti farò dimenticare quella donna, commissario Maybach” sussurrò mordicchiandogli il lobo dell’orecchio.
“Prendimi ora, Miguel!” gli ordinò.
“E la protezione?”
“Al diavolo, facciamolo senza” sussurrò Jan in preda al desiderio più selvaggio.
“Per quanto voglia darti ascolto, non possiamo essere incoscienti”.
“E va bene” sbuffò “corri a prendere questo cavolo di preservativo, ma torna immediatamente”.
Miguel scoppiò a ridere, poi si fiondò nell’ingresso, dove aveva lasciato i jeans. Prese un pacchettino dalla tasca e ritornò dal suo collega che lo attendeva ancora supino.
Glielo mostrò e le labbra di Jan si aprirono in un sorriso “Finalmente” allungò un braccio e lo attirò su di sé impossessandosi della sua bocca carnosa.
“Siamo impazienti, eh, cucciolo?” lo prese in giro.
“Abbiamo perso fin troppo tempo, Miguel” lo rimproverò “non lo vuoi anche tu?”
“Puoi scommetterci che lo voglio, non sai quanto”con i denti scartò l’involucro. Lo arrotolò sull’erezione.
Si insinuò nuovamente tra le sue gambe e lasciò scorrere una mano tra le natiche. Sfiorò la fessura inviolata con un dito. Lo spinse all’interno muovendolo con decisione.
Jan gemendo sommessamente, buttò la testa all’indietro. Miguel lo guardò con apprensione “Ti faccio male?”
“Sì, ma non importa, continua” si morse il labbro.
Miguel aggiunse un secondo dito conficcandolo in profondità. Gli strappò un grido, ma non si fermò “Tutto bene? Vado troppo veloce?”
“Non continuare a torturarmi!” lo supplicò aprendo gli occhi e guardandolo con desiderio.
Dopo averlo baciato a lungo, si spinse in lui lentamente. L’ultima cosa che voleva era farlo soffrire, ma sapeva sarebbe stato inevitabile.
Jan gridando appoggiò le mani sul petto, Miguel si fermò “Jan, stai bene?”
“Sì, è solo che…”
“Se vuoi che mi fermi devi solo dirmelo”negli occhi c’era preoccupazione, ma anche speranza di non sentirgli pronunciare le parole che tanto temeva.
“Fai piano però, è la prima volta” circondò la nuca con un braccio e lo attirò maggiormente a sé.
“Anche per me e voglio sia stupenda, per entrambi”.
Jan cercò di rilassarsi e Miguel cominciò a muoversi con vigore facendolo gemere.
“Miguel”strinse le labbra, il dolore era insopportabile, ma non voleva smettesse.
“Jan, mio dio, così stretto” ansimò aumentando il ritmo dei suoi affondi.
Il dolore cominciò ad affievolirsi e quando Miguel, stimolò la prostata, Jan fu catapultato in un vortice di sensazioni mai provate. Gli conficcò le unghie nella carne “Miguel, ti prego in quel punto... così." farfugliò.
"Cosa? Non capisco... "
"In quel punto, dove mi hai toccato prima”.
”Qui?”con un colpo di reni gli strappò un grido di piacere.
“Miguel, sì, mio dio, sì” Jan afferrò le natiche e lo attirò maggiormente a sé per indurlo a muoversi con maggiore vigore. Lo desiderava con tutto se stesso.
Il cuore di Jan batteva con violenza, le gote erano arrossate, i capelli umidi e il torace imperlato di sudore “Voglio sentirti fino in fondo”.
Miguel sorrise baciandolo con dolcezza e continuò i suoi assalti fino a quando l’orgasmo non lo colse travolgendolo. Senza forze si accasciò sul torace del compagno, restando ancora in lui.
Jan ansimò e gli circondò le spalle con le braccia.
“È stato grandioso” bisbigliò sfiorandogli il lobo dell’orecchio con le labbra.
“Decisamente, Jan, da quanto tempo speravo di farlo”.
“Per fortuna siamo ancora giovani e sexy e non due vecchietti con la dentiera” sorrise.
“Sì, ma non credere che sia finita, ho intenzione di trattenerti qui tutta la notte” gli occhi scuri di Miguel brillarono.
“Interessante prospettiva” ridacchiò l’altro accarezzandogli il petto.
Miguel infilò le dita nei capelli biondi “Che ne dici? Non ho delle doti che la tua spogliarellista sogna?”.
“Sì, indubbiamente” sussurrò mordicchiandogli l’orecchio.
Jan chiuse gli occhi e sospirò, si sentiva tremendamente bene tra le sue braccia.
“Sai, ero geloso marcio di te e quella”
“Lo so, ma ora siamo insieme” mormorò ascoltando il battito accelerato del suo amore.
“Hai ragione e non ho intenzione di lasciarti” Miguel lo baciò dolcemente, poi ridacchiò “Non sei venuto, Jan”
Uscì da lui e lasciandosi scivolare lungo il suo corpo, s’insinuò tra le gambe “Lascia fare a me”.
Quando le labbra di Miguel si avvolsero attorno al suo membro, Jan si lasciò sfuggire un gemito. Ansimando, chiuse gli occhi “Continua”
La testa di Miguel si muoveva velocemente, leccando e succhiando, aveva sempre fantasticato su come sarebbe stato farglielo, ma neanche nei suoi sogni immaginava sarebbe stato così bello. “Ancora, più forte” Jan gli appoggiò una mano sulla testa, se avesse avuto più di quel mezzo centimetro di capelli in testa, li avrebbe tirati.
Miguel continuò fino a quando non sentì il fiotto caldo inondargli la gola.
Leccatosi le labbra, risalì a baciarlo “Hai un buon sapore, Jan”.
Jan percorse il suo viso con un dito. È stato stupendo, dove hai imparato a farlo così bene?” nella sua voce traspariva un pizzico di gelosia.
“Mi sono lasciato trasportare, sai fin troppo bene che sei il primo” lo rassicurò, stringendolo tra le braccia.
“Si sta così bene al sicuro tra le tue braccia forti” sospirò il biondino lasciandosi coccolare.
“Anche tu non scherzi. Hai certi bicipiti da paura!” gli baciò il petto umido.
Restarono per qualche minuto, immobili, uno tra le braccia dell’altro, poi il desiderio tornò a farsi vivo. Sulle labbra di Jan un sorrisetto maligno “Sei pronto a ricominciare?”
“Sempre!”
Jan lo spinse supino e ribaltando le posizioni. Gli bloccò entrambe le braccia portandole dietro la testa, poi si sporse in avanti a intrappolargli le labbra in un bacio delicato. Scese a lambire il mento.
“Jan, cosa fai?”
“Prendo il controllo” rispose sfiorando il pomo d’Adamo con la lingua “credevi ti avrei lasciato il comando per tutta la notte?”
“Siamo intraprendenti” ridacchiò Miguel.
Senza attenere oltre Jan lo prese in sé e cominciò a muoversi.
“Jan, più veloce”.
“Miguel” urlò in preda alla passione più sfrenata.
Jan gli lasciò andare le mani e si sporgendosi in avanti, catturò il labbro inferiore tra i denti. Lo tirò leggermente. I corpi lucidi si muovevano insieme.
“Cavalcami, Jan” ordinò appoggiandogli le mani sui fianchi per indurlo ad aumentare il ritmo “Non resisto, sto venendo” raggiunse il suo secondo orgasmo.
Jan lo seguì spruzzando il seme sul torace.
“Commissario Alvarez, mio stallone”sospirò Jan alzandosi dal suo grembo e accoccolandosi, ansimante, di fianco a lui.
“Commissario Maybach, adoro fare l’amore con lei” lo circondò con le braccia e gli baciò la fronte.
Jan rise e chiuse gli occhi, era felice e non voleva pensare quali complicazioni avrebbe portato la loro relazione. Era deciso a farla durare, amava Miguel e non voleva rinunciare a lui. Ma non poté evitare di chiedersi come avrebbe reagito Benny a tutto questo. Un attimo dopo si addormentò tra le braccia del suo compagno.
Miguel l’osservò in silenzio, era stato un codardo a non confessargli ciò che provava, ma la paura di non essere ricambiato lo aveva bloccato. Si diede dello stupido. Jan lo amava, glielo aveva dimostrato facendo l’amore con lui in modo appassionato e coinvolgente. Solo due persone che si amavano sarebbero riuscite a raggiungere una tale sintonia e fusione non solo dei corpi, ma anche delle anime.
Gli accarezzò la guancia “Ti amo, Jan e questa è stata la notte più bella di tutta la mia vita e la ricorderò per sempre”
“Miguel” mormorò nel sonno “ti amo anche io”
Il cuore dello spagnolo perse un battito. Sorrise e lo baciò con dolcezza prima di sprofondare lui stesso in un sonno profondo.
Il mattino seguente li colse abbracciati sul divano. Miguel cingeva i fianchi di Jan con le braccia, la testa piegata di lato, le labbra carnose socchiuse e il respiro leggero. Jan aprì gli occhi e sorrise rendendosi conto di non aver sognato nulla. Ho davvero fatto l’amore con lui. Gli sfiorò il viso, lasciando scivolare il dito lungo il collo, fino al petto virile. Era bello, sensuale e tutto suo.
“Miguel” sussurrò.
Miguel aprì gli occhi e sorrise “Buongiorno”
“Ciao”
“Sei mattiniero, Jan”
“Sì, se vuoi dormire ancora, io intanto vado a preparare la colazione” fece per sgusciare dal suo abbraccio, ma Miguel strinse la presa “Dove credi d’andare?”affondò il viso nel suo collo.
“In cucina, sono affamato”
“Anche io, ma di te”sussurrò Miguel mordicchiandogli la pelle candida.
“Senior Alvarez, lei è insaziabile” lo baciò con dolcezza, mentre il desiderio ritornava violento in entrambi.
“Mi eccita quando mi chiami così, Jan” ridacchiò lo spagnolo “questa è stata la notte più bella della mia vita”
“Ho amato ogni istante, soprattutto, dormire tra le tue braccia” sorrise Jan “anche se questo divano non è il posto più comodo del mondo”
In quell’istante Miguel decise che non voleva più tacere. Divenne improvvisamente serio e taciturno. Jan si accorse del suo cambiamento e lo fissò stranito “C’è qualcosa che ti preoccupa, Miguel?”
L’altro sedette e, titubante, disse: “Io…mi chiedevo cosa accadrà ora”
Jan gli accarezzò una guancia “Non ho intenzione di lasciarti, Miguel, io…”
“Tu, cosa, Jan?” gli occhi neri si persero in quelle iridi cerulee che tanto amava.
“Ti amo” confessò. “mi sembrava fosse chiaro”
“Anche io, da sempre, credo” Miguel lo strinse tra le braccia, infilando le dita nei capelli biondi.
“Vorrei restare qui tra le tue braccia, anche se preferirei il letto a questo vecchio divano” sospirò Jan.
Miguel scoppiò a ridere e lo baciò scendendo a lambire con la bocca il mento e poi giù fino al collo.
“Che ore saranno?” domandò Jan.
“Come? Con il mio trattamento pensi all’ora? Dovrei ritenermi offeso” mise il broncio.
“Scusa, è che…” lo sguardo si posò sull’orologio che aveva sulla mensola accanto al divano e impallidì, erano quasi le nove. “Cavolo” lo allontanò con le braccia e scattò in piedi.
“Che c’è?” Miguel sgranò gli occhi “Ti ha morso una tarantola?”
“Sta per tornare Benny, è sabato e non va a scuola. La mamma del suo amico lo riportava direttamente qui. Vestiti, Miguel!”
Senza replicare, Miguel obbedì chinandosi a raccogliere i vestiti sparsi per la stanza. “Hai ragione, non voglio certo scandalizzare Benny facendomi trovare nudo come un verme” nella sua voce c’era dolore.
Rendendosi conto di averlo ferito, lo raggiunse “Scusami, sono stato uno stronzo”
“Lascia stare, lo capisco. Benny si sconvolgerebbe a trovarmi in questo stato”
“Non sei arrabbiato?”
“Un po’ deluso, ma ti capisco vuoi proteggere tuo figlio. È troppo piccolo per capire”
“Non voglio che ci siano dubbi, io non mi pento di quello che è accaduto”
“Lo so”gli posò un bacio sulla fronte. Indossò la giacca e si avviò verso la porta.
“Te ne vai?” domandò tristemente, era dura doversi separare.
“Sì” la voce fu quasi un sussurro “ma mi mancherai”
“Resta” lo supplicò quasi
“E a Benny come lo spieghi?” gli sfiorò il viso.
“È abituato a vederti qui” Jan alzò le spalle “Non ci farà caso”
“Tuo figlio è sveglio, sai? Secondo me lo capirà da solo”
“Sì, è sveglio, ma non così tanto. Almeno spero”
Miguel sospirò “Dovremo nasconderci come ladri”
“Credi che gli altri siano pronti per una notizia del genere?” domandò Jan.
“Sono adulti, potranno reggere allo shock” ridacchiò lo spagnolo “e poi, sai che ti dico? Non mi interessa” lo cinse con entrambe le braccia “io voglio stare con te e il resto non conta”
Le labbra di Jan si aprirono in un dolce sorriso “Ti amo, Miguel”
“Anche io, ti amo, Jan” abbassò la testa per baciarlo.
La passione esplose come dinamite, Miguel gli circondò la vita con un braccio e si spinse contro di lui.
Jan si lasciò sfuggire un gemito, si staccò “Devo rivestirmi, amore”
“Io ti preferisco così” il suo sguardo vagò lungo il corpo e si posò sul membro eretto.
“Jan, vorrei che mi prendessi” lo circondò con le dita “non sai quanto desidero sentirti dentro di me”
“Cosa? Ora?”
“Presto, so che mi farai impazzire” mosse la mano.
Jan gemette, le gambe erano come gelatina, il tocco di Miguel gli provocava delle sensazioni indescrivibili.
“Smettila o mi farai venire in pochi istanti” si lamentò Jan, ma in realtà, non voleva si fermasse.
“Vuoi davvero che smetta?” avvicinò la bocca al suo orecchio e morse il lobo.
“Miguel” la sua voce fu quasi un sussurro
In quel momento suonò il citofono, Jan impallidì “Benny”
“Rivestiti o tuo figlio ti vedrà nudo come mamma ti ha fatto” ridacchiò Miguel.
“Cialtrone” mise il broncio “apri il portone e resta qui mentre io mi vesto”
“Accolgo io il tuo Benny”
Jan raccolse gli abiti che giacevano nell’ingresso e corse in camera da letto.
Miguel aprì la porta e un attimo dopo apparve Benny. Vedendolo si buttò tra le sue braccia “Miguel”
“Benny” lo alzò e lo fece roteare, poi lo lasciò andare “sei cresciuto, non riesco quasi più a sollevarti”
“Stai invecchiando, Miguel” lo prese in giro.
“Come osi” giocarono a rincorrersi.
“Dov’è papà?” domandò il ragazzino.
“In camera, si sta…” non sapeva come terminare la frase “cambiando. Abbiamo fatto ginnastica e aveva bisogno di roba pulita.”
Benny lo guardò, poi aggrottò la fronte “E come mai sei vestito così? Non hai la tuta”
“Io…” lo stava davvero mettendo in difficoltà “mi sono cambiato prima”
Lui non sembrò molto convinto, ma scappò via senza replicare.
Miguel sospirò. Ci era mancato poco, Jan l’avrebbe ucciso se si fosse lasciato sfuggire qualcosa di compromettente.
Jan torno pochi minuti dopo, indossava un maglioncino azzurro con collo a v che lasciava intravedere una maglietta bianca e dei jeans che fasciavano il sedere sodo. I capelli erano ancora bagnati, doveva aver fatto la doccia.
Miguel lo fissò con la gola secca, era davvero un uomo stupendo ed era tutto suo.
“Jan, piccolo, meglio che me ne vada” si avvicinò guardandolo come se fosse una torta.
“Perché? È sabato trascorriamolo tutti insieme” propose Jan.
“Mi piacerebbe, ma…” si morse la lingua “non riuscirei a starti lontano. Meglio di no” appoggiò le mani sul suo torace e sospirò “Come vorrei…” si sporse in avanti e sussurrò “scoparti, Jan, ti desidero da impazzire e…”
“Non ne vedo l’ora, Miguel”
“A questo punto, credo dovrò andare a casa e fare una doccia gelata” ansimò eccitato.
Il compagno ridendo, gli accarezzò la guancia. In quel momento entrò Benny urlando “Papà, papà”
Miguel fece un passo indietro e Jan ritirò la mano. Si voltò e lo accolse tra le sue braccia “Mi sei mancato, hai fatto il bravo a casa di Deni?”
“Sì, papà, come sempre”
“Bene, ora vai in camera che devo parlare con Miguel” scompigliò i capelli biondi.
“Uffa” sbuffò “ma che avete sempre da confabulare voi due? Perché non posso restare?”
“Perché si tratta di lavoro” inventò.
Pestò i piedi e fuggì via.
“Vai da lui, io devo proprio andare. Ci vediamo lunedì, va bene?” disse Miguel sul punto di uscire dalla porta.
“No, non va per niente bene” replicò “che intendi?”
“Che ci vediamo a lavoro, lunedì”
“C’è qualcosa che non va, Miguel?” domandò vedendolo turbato.
Non rispose e Jan insistette “Sai che puoi parlare di tutto, cosa ti preoccupa?”
“Jan, io ti amo e voglio stare con te” gli confessò Miguel tristemente.
“Anche io” la sua voce fu quasi un sussurro.
“Come potremo stare insieme? Non mi va di attendere che Benny …” non riuscì a terminare la frase, Jan lo costrinse a tacere con un bacio.
Miguel si lasciò sfuggire un gemito “Non mi rendi facile andare via” mormorò staccandosi.
“L’idea era quella” ridacchiò il biondo “senti, stavo pensando…”
“Cosa?”
“Che magari, non so, potresti…” balbettò Jan “restare qualche giorno qui, sai, per provare a vedere come sarebbe…”
“Jan, prendi fiato. Di che stai parlando?” il suo cuore batteva con violenza.
“Vorrei venissi a stare qui da noi” disse tutto d’un fiato.
Miguel sgranò gli occhi, non riusciva a credere che gli stesse proponendo di andare a vivere con lui. Era qualcosa che aveva sperato solo nei suoi sogni.
“Io credevo non volessi che Benny…”
“Benny ti adora” replicò “quasi quanto me”
“Cosa dirà quando ci vedrà insieme, non voglio traumatizzarlo. Jan, è una pessima idea” protestò, ma era grande la voglia di accettare la sua proposta.
“Diremo che hai un problema alle tubature e, giacché casa nostra ha solo due camere da letto, sarai costretto a dormire con me. Sei un ospite, non posso costringerti a dormire sul divano” sorrise malizioso.
“Jan, ti ho mai detto che sei diabolico?” Miguel era davvero stupito dall’ingegno del compagno.
“No, questo mi manca” ridacchiò “Allora, che ne pensi?”
“Accetto, non potrei mai rifiutare questa proposta così allettante. Quando posso venire?”
“Quando vuoi, anzi, prima ti trasferisci meglio sarà” Jan era elettrizzato all’idea di averlo per casa.
“Siamo impazienti, eh, commissario Maybach?”
“Sì perché non vedo l’ora di addormentarmi con te e svegliarmi al tuo fianco la mattina” confessò.
Miguel sentì le gambe venirgli meno, Jan lo amava e desiderava vivere con lui. Fece un profondo respiro “Il tempo di prendere la mia roba”
“Bene, ora fila a casa a fare le valigie” lo spinse sul pianerottolo.
“Ciao Benny” urlò per farsi sentire dal ragazzino nell’altra stanza.
“Ciao Jan” gli posò un bacio sulle labbra e uscì.
La porta si chiuse e Miguel esultò per la felicità.


Epilogo

Tre mesi dopo

Miguel era occupato ad asciugare i piatti dopo una cenetta romantica con Jan. Benny era dalla nonna per qualche giorno così che i piccioncini potevano avere la casa a loro completa disposizione. Erano trascorsi tre mesi da quando si era trasferito e cominciava a pensare di dover tornare nel suo appartamento avendo continuato a pagare l’affitto, pur senza abitarci. In realtà, non aveva alcuna voglia di lasciare Jan. era stupendo potersi svegliare tra le sue braccia, ma temeva che alla fine questa situazione sarebbe risultata insopportabile. Si chiese come avrebbero spiegato a Benny il suo trasferimento definitivo. L’ultima cosa che desiderava era turbare quel ragazzino e soprattutto mettere il suo Jan in una posizione difficile. Era ancora indeciso sul da farsi quando questi lo raggiunse, circondandogli la vita con un braccio e baciandolo dietro la nuca.
“A cosa pensavi? L’acqua sta uscendo fuori dal lavandino”
Miguel si riscosse “A niente, amore. Riflettevo” prese la spugna e la passò con decisione su un piatto.
“A qualcosa di serio a giudicare dalla tua espressione” Jan sembrò preoccupato.
Lo spagnolo smise di lavare e si voltò “Pensavo alla nostra situazione”
“Di che situazione parli?”
“Io che vivo a casa tua, Jan”era imbarazzato di doverne discutere, ma sapeva di non poter più rimandare.
Il volto del compagno mutò espressione, ma non lo interruppe. Miguel continuò “Non voglio crearti dei problemi, Benny potrebbe fare domande e poi, come se non bastasse, sto continuando a mantenere il mio appartamento”
“Io credevo fosse chiaro. Miguel voglio che tu viva qui!”gli pulì una guancia dallo schizzo di detersivo.
“Sei sicuro?”
Jan per tutta risposta lo baciò spingendolo contro il lavandino “Chiama il tuo padrone di casa, comunicagli che l’appartamento è libero”
“Jan, non sai quanto mi è costato affrontare questo argomento, credevo di essere di troppo e che…”
Il compagno gli tappò la bocca con la sua. Dopo aver pomiciato per un po’, Jan lo fissò interrogativo “Sei ancora qui?”
“Come?” il cervello tentò di metabolizzare le sue parole.
“Fila a telefonare!” ordinò con un tono che non ammetteva repliche.
Miguel a quel punto scoppiò a ridere e dopo avergli scoccato un ultimo bacio, si allontanò per parlare con il suo padrone di casa.

domenica 4 settembre 2011

Sei geloso?



Squadra speciale Lipsia
Pairing: Migugel Alvarez-Jan Maybach
Spoiler: Episodio Cuori solitari 3 stagione
I personaggi non sono di mia proprietà


L’atmosfera al commissariato era incandescente. Il caso del quale la squadra si stava occupando era particolarmente spinoso e le indagini finora svolte sembravano non aver portato a nulla. Le indiziate erano molte, ognuna con un movente e con un particolare legame con la vittima. In quel momento Jan stava ragguagliando il suo capo su ciò che avevano scoperto durante gli incontri della sera precedente.
Appoggiato allo schedario, Miguel si teneva in disparte, braccia conserte, labbra imbronciate e sguardo fisso sul collega. La mente era alla sera prima, a quando, Jan lo aveva piantato in asso al bar andandosene senza una parola. Rifletteva su cosa avesse fatto per causare la sua ira.
Durante gli interrogatori, aveva osservato l’amico e aveva notato il suo cambio repentino quando era apparsa la spagnola Carmen Rubio. Si era incupito, mentre il cuore di Miguel aveva cominciato a galoppare. Gli piaceva. Quella ragazza era tutto ciò che un uomo poteva desiderare. Era bella, simpatica, dolce e a giudicare dalle vibrazioni che aveva ricevuto, anche propensa ad accettare le sue avance. Lo aveva anche rivelato a Jan, gli aveva detto che lei ricambiava, che era pazza di lui e che presto sarebbe stata sua. L’amico, invece di congratularsi, si era allontanato lasciando il locale senza neanche salutare.
Sentendo il nome di Carmen, Miguel concentrò immediatamente l’attenzione sulle parole del suo capo. Scattò in avanti e soffiò di mano a Jan la scheda “Ci penso io”
“Scordatelo!” rispose Jan furente, gli occhi azzurri fiammeggiarono “Sei troppo coinvolto in questa storia!”
“So ancora fare il mio lavoro” protestò il commissario per niente contento di quella rimostranza.
“Sì, certo” borbottò.
“E con questo che vuoi dire?” Miguel s’infervorò, detestava che mettessero in dubbio la sua serietà.
“Che sei infatuato di quella spagnola, ecco che voglio dire”
Miguel aprì la bocca per protestare, Haio, Stanco dei loro continui battibecchi, intervenne “La volete smettere? Siete peggio di due bambini! Miguel vieni con me, torniamo all’agenzia. Jan, tu e Ina recatevi dove lavorava la vittima” E senza aggiungere altro si diresse verso l’uscita.
Prima di seguire il suo capo, Miguel puntò un dito contro l’amico “Ne parliamo dopo, Jan!”
“Per me discorso chiuso!”
“Finiscila, Jan! È da ieri che sei inacidito, mi vuoi dire che ti succede?”
“Niente! Haio ti aspetta!” e gli voltò le spalle.
Miguel strinse i pugni e uscì dall’ufficio. Non è finita qui! Ti costringerò a confessare tutto.



Dopo un’estenuante giornata, Jan rientrò in ufficio e lo trovò deserto ad eccezione di Miguel. L’amico era seduto con i piedi sulla scrivania e la testa penzoloni, in grembo una pila di fascicoli. Dormiva beato, la bocca socchiusa e il respiro pesante. Jan si sentì in colpa per averlo accusato di non essere obiettivo. Si soffermò a guardarlo per qualche istante, cercando di resistere alla tentazione di sfiorare le labbra carnose e la cicatrice della quale non sapeva l’origine. Stranamente Miguel si era sempre rifiutato di spiegargli come se l’era procurata. Jan aveva quindi ipotizzato che se ne vergognasse. Vedendolo muoversi indietreggiò di un passo.
“Battiamo la fiacca?” alzò la voce
Miguel scattò abbassando le gambe e rischiando quasi di cadere. Si stropicciò gli occhi, mai vedendo che si trattava di Jan mise il broncio “Che bastardo! Pensavo fosse il capo!” si passò una mano sulla zucca rasata.
Jan scoppiò a ridere “Che fai ancora qui?” raccolse le sue cose.
“Lavoravo e mi si sono chiusi gli occhi” distolse lo sguardo imbarazzato.
“Sei irrecuperabile, amico”
Miguel lo fissò seccato “Hai finito di sfottere?”
“Dai, non te la prendere!”
“Senti, dobbiamo parlare!” lo spagnolo gli appoggiò una mano sulla spalla.
“E di cosa? Devo tornare da Benny!” sfuggì al suo tocco.
“Che ti succede, Jan?” Miguel lo bloccò “È da ieri che ti comporti come un pazzo! Prima mi lasci al bar senza una parola, poi oggi fai quelle battutacce. Vuoi dirmi una buona volta cosa ti brucia?”
Jan alzò le spalle indifferente “Mi spiace per ieri, ma ero stanco e brillo, non avevo voglia di restare!”
“Sì, certo. Perché te ne sei andato senza neanche salutare? Ti conosco troppo bene, amico mio. Non mentirmi.” Miguel si tormentò il labbro inferiore con i denti. Il suo comportamento lo stava mandando al manicomio. Non sapeva più cosa pensare o come comportarsi con lui.
“Ero arrabbiato, d’accordo?” confessò finalmente l’altro.
“Arrabbiato?” lo fissò stranito. Non riusciva a capire cosa gli avesse fatto.
“Lascia perdere, non ha importanza!”
“No! Ora parli!” gli conficcò le dita nel braccio e lo costrinse a guardarlo “Jan, si può sapere cosa ti ho fatto?”
“Hai fatto il cascamorto con quella!” dichiarò tutto d’un fiato.
Il cuore di Miguel accelerò i suoi battiti e sorpreso dalla sua ammissione, non riuscì a replicare.
“Eri talmente ammaliato che non ti sei neanche accorto che ti ha preso in giro” il volto era rosso e gli occhi allucinati “erano d’accordo. Lei e quel Pascal Bortloff”
“Cosa? Ma di che diavolo parli?”
“Lo abbiamo scoperto oggi. La bella Carmen è una professionista, se capisci cosa intendo”
Miguel reagì scostandosi e Jan continuò “Erano in combutta per spillare denaro ai clienti dell’agenzia e tu ci sei cascato come un allocco. Ti ha sedotto con i suoi occhioni da cerbiatta”
Il giovane commissario strinse i pugni per la rabbia “Che stupido sono stato”
“E scommetto che c’entra anche con il suo omicidio”
Miguel si accasciò sulla sedia “Mi sono lasciato irretire come un ragazzino”
Vedendolo così abbattuto, i lineamenti di Jan s’addolcirono “Non essere così severo con te stesso”
“Questa volta mi racconterà la verità!” esclamò scattando in piedi.
“La interrogherò io, tu sei troppo coinvolto!”
“No!” lo spagnolo scosse la testa “Devo farlo io. Voglio che mi dica come stanno davvero le cose guardandomi negli occhi”
“Sei sicuro?”
Annuì distratto, poi alzando lo sguardo verso Jan mormorò “Però, non mi hai risposto! Perché eri arrabbiato?
“Vedi, io…” balbettò schiarendosi la gola, i capelli gli ricadevano sulla fronte.
“Tu cosa?” mormorò ansimando.
“Ero geloso” ammise infine con un filo di voce.
Miguel si avvicinò, trovandosi ad un soffio dal suo volto, sulle labbra un sorrisetto “Geloso? Di Carmen?”
“Non gongolare! Sì, ero geloso”
Miguel si sporse verso di lui, il caldo respiro sulla pelle, un’eccitazione improvvisa causata da quelle due paroline.
“Al vederti fare il pesce lesso con lei, ho provato qualcosa che…”
L’amico era esterrefatto, non lo aveva mai sentito così insicuro e impacciato come in quel momento.
“Un dolore nel petto, lancinante” si poggiò la mano all’altezza del cuore.
“Ma perché sei scappato via? Io temevo di averti fatto qualcosa”
“Mi parlavi di come era pazza di te. Se fossi rimasto, ti avrei di certo preso a pugni, Miguel!”
“Avevo bevuto, Jan”
“E con questo? Scusami, hai il diritto di flirtare con chi vuoi” abbassò lo sguardo, ma Miguel notò che era arrossito.
Attiratolo in un abbraccio, gli baciò una spalla “Non è successo niente”
Inizialmente lo sentì irrigidirsi, poi sciogliersi e ricambiare la stretta “Non posso farci niente, sono geloso marcio”
“Anche io” gli sussurrò Miguel all’orecchio.
Jan si allontanò come scottato “Come?”
“Sono geloso di tutte le donne che ti si avvicinano” si spinse contro di lui “Sei così bello e dolce. Ieri, quando ti ho visto con quella donna con la bambina, ho temuto potessi vedere in lei una madre per Benny” toccò il collo, scendendo verso il colletto della camicia “Sorridevi e sembravi così a tuo agio”.
Il respiro di Jan divenne affannoso “Che fai?”
Senza rispondere, Miguel sfiorò il ciuffetto di peli che fuoriusciva dal colletto della camicia.
Jan ansimò. Quel tocco lo stava facendo impazzire “Fermo, Miguel!” ma non sembrò per niente convinto.
“Davvero devo fermarmi?” accarezzò il lobo con le labbra, lo catturò succhiandolo. La mano scese a sbottonare un paio di bottoni.
Jan chiuse gli occhi e piegò la testa di lato. Miguel lo prese come un invito a continuare e dopo averlo spinto a sedere sulla scrivania, poggiò la bocca sul petto scoperto, assaporando il gusto salato della sua pelle.
“Miguel” ansimò Jan lasciandosi andare alle sue carezze.
“Il mio Jan” s’insinuò tra le sue gambe e gli sfilò la camicia dai pantaloni. Percorse gli addominali con i polpastrelli, attardandosi a giocherellare con la peluria che spariva all’interno dei pantaloni. Miguel lo sentì fremere, tendersi verso di lui.
“Che stiamo facendo” protestò guardandolo con i suoi grandi occhi azzurri.
“Ti dimostro quello che provo per te” Miguel si sporse verso di lui e lo baciò con dolcezza. Lambì prima le labbra, poi con la punta della lingua gli chiese il permesso d’entrare. Jan gli prese il volto con le mani e socchiudendo la bocca, ricambiò con ardore il bacio.
Si persero entrambi nelle sensazioni che provavano uno tra le braccia dell’altro.
Staccatosi per mancanza d’aria, lo spagnolo boccheggiò “Lo sapevo”
L’amico lo fissò interrogativo, respirava a fatica e il volto era rosso e accaldato.
“Il tuo sapore, Jan, è inebriante” e tornò a reclamare quelle labbra così invitanti “e non mi stancherei mai di assaporarti”
“Dici così a tutte le tue conquiste?”
“Solo se ne vale davvero la pena” le dita vagarono sul ventre, disegnando dei piccoli cerchi attorno all’ombelico.
Jan si lasciò sfuggire un lamento “Ora capisco perché non riescono a resisterti”.
“Non pensare a loro, ma a questo” si sporse per baciarlo ancora, ma lui lo bloccò.
“Dimmi la verità, cosa c’è stato tra te e Carmen Rubio?” detestava il pensiero di Miguel con quella donna. Voleva che fosse solo suo.
“Niente, Jan” la bocca si posò sul naso, scese sul labbro superiore.
“Ma avresti voluto” si tirò indietro.
Miguel sbuffò “È una bella donna, disponibile, ma non significa niente per me”
Jan distolse lo sguardo e Miguel comprese: era ancora geloso. Lo costrinse a guardarlo “Jan, ancora non lo hai capito?” si perse in quelle pozze limpide “Sei la persona più importante per me e nessuna donna si potrà mai mettere tra noi”
“Ma…” cercò di obiettare, ma Miguel lo attirò in un abbraccio e affondato il volto nel suo collo, lo baciò rumorosamente.
Jan sorrise e lo strinse con forza, godendosi il suo calore.
Miguel continuò a stringerlo fino a quando non lo sentì rilassarsi.
Jan gli portò una mano dietro la nuca e cercò le sue labbra. Quella sera la gelosia si dissolse lasciando il posto alla passione.